Bullismo e mobbing nell’infanzia e adolescenza: le conseguenze a lungo termine

di Roberto Cerabolini*

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American Psychologist (la rivista dell’American Psychological Association) ha pubblicato il 14 maggio un numero speciale della rivista, interamente dedicato ad una revisione delle ricerche svolte sul bullismo negli ultimi 40 anni: interessante il tentativo di rappresentare sistematicamente le conoscenze acquisite, individuando le evidenze riscontrate e le asserzioni per le quali gli studi longitudinali non trovano al momento validazioni. Di particolare valore risulta il contributo di Patricia McDougall e Tracy Vaillancourt, due studiose canadesi che studiano gli effetti a lungo termine delle esperienze di bullismo sperimentate nel corso degli anni scolastici.


Essere vittima di bullismo è esperienza dolorosa, che comporta un impatto negativo sul rendimento scolastico, sulla salute fisica e mentale, sulle relazioni sociali e sull’immagine di sé nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. I bambini ripetutamente vittimizzati nei primi anni di scuola tendono a percepire l’ambiente scolastico come pericoloso, a non sentirsi sostenuti dagli insegnanti, ad assentarsi frequentemente fino a evitare la scuola. Sono segnalate conseguenze anche sul piano della salute, con disturbi dell’appetito, minore pratica dell’esercizio fisico, cefalea. A partire dai primi anni, e fino al termine della scuola elementare, la vittimizzazione è predittiva di gravi sentimenti di solitudine, sintomi di disagio e problemi emotivi, con un significativo aumento di ansia e depressione, con il rischio di sviluppare psicosi. I giovani che sono stati ripetutamente vittime durante l’infanzia o nella prima fase adolescenziale presentano anche maggiori problemi di comportamento in età successive.
Queste dolorose esperienze infantili lasciano cicatrici durevoli in età adulta; gli studi forniscono prove di una diretta relazione tra la vittimizzazione negli anni dell’infanzia e la riduzione dei risultati nello sviluppo delle competenze in età adulta.
Ma, fortunatamente, non tutti i bambini vittime di bullismo diventano adulti disadattati.
Lo studio dei fattori di rischio e di quelli protettivi, che moderano e/o mediano l’influenza dell’esposizione al bullismo, consente di spiegare perché l’esperienza della vittimizzazione nell’infanzia può condurre a risultati diversi nel corso del tempo.
Gli studi hanno identificato le variabili critiche che possono spiegare la differente evoluzione dei percorsi dei ragazzi. Si tratta di:
– fattori individuali, come le competenze sociali e le abilità nello studio;
– stabilità e relazioni positive nella struttura familiare;
– sostegno sociale e amicizie.
In queste aree si collocano i fattori protettivi in grado di ‘interrompere’ il percorso tra l’esposizione al bullismo negli anni scolastici e il disadattamento e le difficoltà personali in anni successivi.
Così la ricerca può aiutare a individuare le strategie più opportune per predisporre adeguati programmi di intervento, che non si limitino ad interventi mirati alla repressione del bullismo, scarsamente efficaci.
Ad esempio, si è notato che, nella scuola elementare, l’incidenza del bullismo diminuisce nelle classi dove maggiore è il fenomeno, perché i bambini si trovano in una situazione di ‘condizione condivisa’, dove è più facile per le vittime cogliere la violenza come una dimensione sociale, e vedere che l’esperienza non è un difetto o colpa loro. La presenza di uno o più amici risulta un altro fattore decisivo per ridurre le conseguenze negative della vittimizzazione; più in generale, risulta importante la presenza di un sostegno percepito da parte di compagni, genitori e insegnanti. I fattori familiari (la struttura, le relazioni, il contesto) possono essere più importanti per i bambini più piccoli, mentre il sostegno sociale da parte di amici e insegnanti diventa più decisivo con il crescere del percorso scolastico.
Pare quindi che bambini e adolescenti beneficino particolarmente di interventi volti a sostenere le loro capacità di affrontare l’impatto del bullismo, con una particolare attenzione a sfruttare i fattori di protezione disponibili, a rafforzare la loro autostima, e a creare opportunità per fare esperienze positive tra pari.
Per quanto siano indispensabili interventi più ampi, con il ricorso a specifiche professionalità per i giovani più vulnerabili, in particolare quelli che manifestano problemi di salute mentale, l’approccio basato sullo sviluppo dei fattori di resilienza fornisce preziose indicazioni e un cauto ottimismo sulla possibilità di limitare i danni determinato dal dilagante fenomeno del bullismo. I programmi di intervento sul bullismo non possono quindi esimersi da una netta integrazione del loro apporto nel contesto specifico dell’ambiente scolastico e sociale in cui si svolgono; ne deriva un comune impegno sia per le risorse presenti nella scuola, sia per quelle che presidiano il tessuto sociale del contesto.

*Psicoterapeuta presso “Fraternità e Amicizia” Coop.va Soc. Onlus, Milano

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