Vita affettiva e sessuale di un figlio con disabilità intellettiva

di Roberto Cerabolini *

KIDS-Wallpaper-Cloud-Rose-Ferm-Living-521_29a4cb40-80e4-4e7f-b2a7-9389b10a6ab3_1024x1024Nell’esperienza del Gruppo di AutoMutuoAiuto di genitori con figli disabili intellettivi, che seguo come facilitatore presso la Cooperativa Sociale Fraternità e Amicizia, i temi dell’affettività e della sessualità sono evocati con ricorrenza, e il disorientamento dei genitori in tale ambito appare consistente. Recentemente, il gruppo ha deciso di consultare uno specialista per approfondire l’argomento, e ha poi proseguito il confronto interno, con la collaborazione dei facilitatori (oltre a me anche la pedagogista) che ne condividono il percorso.
Tutti i genitori rintracciano nelle loro esperienze i segni di una dimensione affettiva, che nella vita dei loro figli assume un rilievo, talora assai marcato. Molti notano che il maturarsi della vita affettiva rappresenta, da un lato, un propulsore del percorso evolutivo del figlio, e dall’altro però, un forte elemento di rischio e di criticità.

Di fronte alla complessità del quadro, alcuni genitori cercano di semplificare, ritenendo che le spinte pulsionali dell’individuo con disabilità intellettiva non siano altro che processi fisiologici che, per via del deficit, non consentono un’adeguata elaborazione mentale e la conseguente traduzione in atti mirati e adattati al contesto. Essi notano l’impulsività del comportamento del figlio, e la sua eventuale inadeguatezza, senza occuparsi di approfondire la conoscenza dei sentimenti che lo animano, che sovente sono poco e male espressi sia per le difficoltà cognitive e linguistiche, sia per le remore che accompagnano, in generale, le interazioni tra genitori e figli in questo campo.
Questi genitori finiscono per banalizzare le ‘passioni’ che la dimensione affettiva alimenta, e considerano come “manifestazioni infantili” gli atti del proprio congiunto. Le soluzioni che propongono sono in linea con la lettura ‘riduzionista’ dei bisogni della persona, e si concretizzano in una vasta gamma di interventi, uniti da un comune denominatore: gli impulsi devono essere soddisfatti o sedati, e le passioni devono essere annacquate. Perciò per la soddisfazione dei bisogni fisiologici viene stimolato il ricorso alla masturbazione (talvolta ‘insegnata’ attraverso la pratica attiva da parte del genitore), oppure ci si rivolge alla prostituzione. “Il problema è superato: mia figlia sta con il ragazzo e prende la pillola” dice un genitore, come se la vita affettiva della coppia si riducesse alla pratica sessuale.
La variante di segno opposto di questa linea è costituita dal tentativo di soffocare la vita affettiva e sessuale, dirottando gli impulsi su ‘distrazioni’ di varia natura, o ricorrendo con l’intervento farmacologico ad operare una massiccia sedazione, dagli effetti potenzialmente letali per l’intera vita psichica dell’individuo (si veda il VI Congresso Nazionale della SIRM -Società italiana per lo Studio del Ritardo Mentale- che ha indicato la disabilità intellettiva quale problema nascosto della salute mondiale, e ha denunciato il ricorso ad una ingiustificata sovramedicazione con farmaci psicotropi). In modo analogo, la negazione dell’affettività e sessualità è praticata da altri genitori, turbati dai comportamenti-problema o dalle manifestazioni ansiose del figlio, al punto da non cogliere altre dimensioni di bisogno.

Con maggior fatica, e talvolta facendo esperienza del dolore, si muovono quei genitori che invece si concedono la possibilità di analizzare la vita sentimentale del figlio e le sue esigenze anche in merito alla sessualità. Essi si misurano con l’impotenza (la loro, ma anche quella di chi condivide il percorso di vita della persona: gli educatori, gli operatori sociali, ecc.) nella difficoltà di trovare risposte facili e rapide per le difficoltà dei congiunti. “A mio figlio la prostituta non basta: lui vuole trovare una ragazza!” spiega una madre, addolorata di non possedere gli strumenti che soddisfino questa esigenza, ben più complessa.
Si tratta, per questi genitori, di riconoscere che l’affettività è la dimensione preminente, e che è necessario considerare le caratteristiche della dinamica della vita affettiva delle persone con disabilità intellettiva per comprendere come procedere a migliorare la loro qualità di vita.

L’esperienza con le persone con disabilità intellettiva mette in luce alcune caratteristiche specifiche delle loro dinamiche affettive, e indica le direzioni fondamentali in cui procedere per un miglioramento delle loro relazioni affettive e sessuali. L’educazione affettiva, il sostegno allo sviluppo delle competenze comunicative, la consapevolezza dei limiti e delle proprie risorse costituiscono capisaldi necessari per affrontare adeguatamente l’accesso alla modalità adulta di vivere le relazioni sentimentali e la vita sessuale.
I problemi relazionali, spesso trascurati perfino nell’approccio clinico, rappresentano per questi individui serie preoccupazioni: essi hanno bisogno di relazioni ma fanno esperienza di una loro mancanza, sentendosi spesso isolati ed esclusi. Con l’adolescenza, il disabile intellettivo si rende conto che ‘non è capace come gli altri’: un sentimento di sfiducia lo porta ad uno stato di impotenza appresa, e si traduce a volte in disturbi di tipo ansioso-depressivo. L’insicurezza della loro autostima li conduce a sperimentare concrete difficoltà nel costruire forme di rapporto sociale. In queste persone si riscontra frequentemente la tendenza a rifugiarsi in fantasie compensatorie delle difficoltà e degli insuccessi reali, che in alcuni casi aprono una pericolosa via di ingresso verso la psicosi (1).
Tuttavia, pur attraverso un percorso contorto e denso di frustrazioni, molti esempi indicano che anche le persone con disabilità intellettiva possono maturare le capacità adeguate per avere una vita sentimentale piena di soddisfazioni.

Un accurato ‘accompagnamento’ educativo e relazionale è la condizione perché si manifestino nella loro pienezza le autonomie personali in grado di sostenere le relazioni affettive e una soddisfacente vita sessuale.
L’uscita dall’area di dipendenza dai genitori, prolungata per molti giovani disabili sia dalle difficoltà oggettive che dalle preoccupazioni dei familiari, è tra i passaggi cruciali che devono superare in questo percorso. Ciò è possibile grazie all’abilità con cui i genitori possono accompagnare, vigilando, il cammino di crescita del figlio disabile, sapendo tuttavia fare i passi indietro necessari per non arrestare lo sviluppo.
Le testimonianze discusse nel Gruppo sostengono concordemente che tale abilità non è una virtù naturale: i genitori la maturano attraverso un lavoro di riflessione che richiede una buona dote di competenze osservative, di intuizione e di analisi dell’esperienza.
Il Gruppo di AutoaMutuoAiuto è uno degli strumenti per farlo, ma, come sostenuto in un precedente post, non è ugualmente utile per tutti i genitori. Abbiamo ipotizzato l’opportunità di offrire l’accoglienza in piccoli ‘gruppi a valenza terapeutica’, condotti da uno psicologo clinico, particolarmente indicati per i genitori alla ricerca di sostegno.
Ci rivolgiamo alla comunità dei genitori e degli operatori professionali per raccogliere contributi e resoconti sulle varie forme d’intervento sperimentate in relazione a questo importante aspetto della vita delle persone disabili e delle loro famiglie.

(1) R. Cerabolini, “La sofferenza psichica nelle persone con disabilità intellettiva”, Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 4.1, novembre 2014

* Psicoterapeuta presso “Fraternità e Amicizia” Coop.va Soc. Onlus, Milano

2 pensieri su “Vita affettiva e sessuale di un figlio con disabilità intellettiva

  1. Patrizia Taccani

    Dopo aver letto questo contributo ho sentito il bisogno di riprendere in mano un libro. Si tratta di “Io amo. Piccola filosofia dell’amore” di Vito Mancuso. Nelle prime pagine si legge “Nella gran parte degli innamoramenti la freccia non parte da colui o colei che ci fa innamorare: costoro, anzi spesso rimangono del tutto all’oscuro del sentimento che li riguarda[…] e più avanti “…non siamo noi a far nascere l’amore, ma è l’amore che nasce in noi, siamo come appesi a una serie di forze, circostanze, casualità molto più grandi di noi che sempre ci sovrastano, spesso ci dominano, talora ci imprigionano.”.
    Condividendo questa prospettiva per averne fatto esperienza, come non pensare allo sconcerto, alla incertezza, alle ambivalenze e alle paure di un giovane disabile di fronte all’amore?
    E come non comprendere appieno il desiderio di un genitore di voler evitare in ogni modo al figlio il rischio di piombare a capofitto in questo mare sconosciuto?
    Roberto Cerabolini indica dunque alcune direzioni – che condivido in toto – per chi opera professionalmente nell’area della disabilità intellettiva: lavorare con i giovani sul filone dell’educazione sentimentale e lavorare con le loro famiglie perché sentano di poterli accompagnare in questa crescita.
    Il mio contributo, purtroppo, si ferma a queste riflessioni, non ho elementi operativi da offrire. Mi auguro che siano invece molti, genitori e operatori, a voler far conoscere attraverso “Scambi di Prospettive” le strade intraprese in questo territorio così fragile, così vitale.
    Patrizia Taccani

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