Gli atteggiamenti dei professionisti dei servizi verso l’omogenitorialità: pregiudizi e sfide future

 figure mistedi Marina Everri*, Laura Fruggeri**, Giada Magro°, Tiziana Mancini°°

I cambiamenti socio-culturali degli ultimi anni hanno dato progressiva visibilità anche in Italia  a una molteplicità di modi di condividere un progetto di coppia e di genitorialità, che si sono affiancati a quelli della famiglia tradizionale (coppia eterosessuale, sposata e con figli). Fra le altre, le famiglie omogenitoriali si sono imposte all’attenzione delle comunità e delle istituzioni politiche e legislative, sfidando modelli, teorie e pratiche di intervento consolidate non più in grado di accogliere i bisogni espressi dalle nuove forme familiari.

Il gruppo di ricerca composto da psicologhe sociali dell’Università di Parma e coordinato dalla prof.ssa Laura Fruggeri, ha condotto ricerche sul tema dell’omosessualità fin dalla degli anni Novanta. Dai primi interrogativi attinenti l’identità delle persone omosessuali, l’indagine si è via via spostata sulle dinamiche delle coppie omosessuali per approdare ai processi delle famiglie omogenitoriali, ovvero a quelle coppie di persone dello stesso sesso che decidono di avere figli ricorrendo a tecniche di fecondazione assistita o all’adozione; pratiche precluse alle persona omosessuali in Italia.

Il tema dell’omogenitorialità nel nostro paese rimane particolarmente controverso, come testimoniato dal feroce dibattito che ha portato all’approvazione della recente legge Cirinnà che, pur riconoscendo le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ha stralciato dalla versione definitiva la “stepchild adoption” ovvero l’adozione del figlio biologico del/la partner.

Il “progetto di genitorialità” tra persone dello stesso sesso solleva numerose perplessità e sospetti nell’opinione pubblica. L’ultima indagine Istat che abbiamo a disposizione, segnala che solo il 20% della popolazione Italiana è abbastanza d’accordo di estendere il diritto alla genitorialità a persone dello stesso sesso. Tuttavia, riscontriamo gli stessi dubbi e le stesse perplessità anche tra i professionisti che lavorano con famiglie e bambini. Eppure, sono ormai numerose le ricerche che hanno dimostrato che le famiglie omogenitoriali possono essere contesti adattivi al pari delle altre forme familiari, documentando in particolare che non c’è alcun legame tra l’orientamento sessuale dei genitori e lo sviluppo di problematiche da parte dei figli, oppure tra l’orientamento omosessuale dei genitori e lo sviluppo dello stesso orientamento da parte dei figli. Nonostante ciò, la diffusione di atteggiamenti pregiudizievoli verso i genitori e i loro bambini permane.

Alcuni lavori di ricerca svolti in Italia con psicologi e psicoterapeuti hanno documentato il radicamento dell’etero-sessismo nelle istituzioni, segnalando, per esempio, come questi professionisti nei colloqui clinici ponessero domande sul partner dei loro pazienti dando per scontato un orientamento eterosessuale. Allo stesso modo,  uno studio svolto pochi anni fa, ha documentato come gli atteggiamenti pregiudizievoli di professionisti esperti (con circa dieci anni di esperienza) verso queste forme familiari orientassero il professionista in una presa in carico evasiva, che non verteva tanto sulla domanda posta – nello specifico si trattava di un genitore omosessuale che chiedeva di essere sostenuto nella separazione dell’ex-coniuge – ma su un intervento rivolto all’orientamento sessuale del genitore.

I risultati di questi lavori, ancora scarsi sul piano numerico, segnalano i rischi che possono derivare da una carenza di modelli di intervento adeguati, dalla scarsità di informazioni sul tema e da una mancanza di confronto con ciò che non è noto. Questi aspetti, infatti, possono orientare il professionista verso pratiche di esclusione e stigmatizzazione, piuttosto che di inclusione e presa in carico adeguata.

Lo studio che verrà presentato su Prospettive Sociali e Sanitarie (1) si propone di prendere in esame in modo più sistematico quegli aspetti che sfidano i professionisti nelle loro pratiche con genitori omosessuali e i loro figli. In particolare, lo studio ha coinvolto i professionisti che lavorano nei servizi educativi, sociali, sanitari, per identificare i fattori specifici che contribuiscono a orientare le loro pratiche professionali.

Nella letteratura esistono pochi lavori su questi temi; in particolare non si riscontrano studi che abbiano confrontato professionisti di diversi servizi, rispetto al lavoro con un’utenza nuova come quella rappresentata dalle famiglie omogenitoriali. Lo studio qui presentato ha rilevato il punto di vista di 505 professionisti dei servizi sanitari, educativi e sociali prendendo in considerazione i seguenti aspetti:

  • gli atteggiamenti positivi o negativi (pregiudizio)
  • la conoscenza personale e la formazione su tematiche pertinenti l’omogenitorialità (contatto)
  • la disponibilità a riconoscere l’estensione di diritti a coppie e famiglie omogenitoriali (diritti)
  • la volontà di modificare le pratiche per renderle più inclusive (action orientation).

I dati mettono in luce differenze interessanti tra i tre contesti professionali segnalando come gli operatori del servizio sanitario tendano a manifestare maggiori pregiudizi, un minore contatto diretto e indiretto con persone, coppie/famiglie omosessuali e minore apertura sia all’estensione dei diritti, sia a modificare le pratiche, rispetto agli operatori dei servizi educativi e sociali. Negli altri contesti è stata riscontrata una maggiore apertura all’inclusione. In particolare, gli operatori dei servizi sociali sembrano più disponibili a modificare le proprie pratiche, ad estendere i diritti anche a queste famiglie, e manifestano in modo coerente più bassi livelli di pregiudizio; gli operatori dei servizi educativi, invece, assumono posizioni intermedie rispetto ai professionisti dei servizi sanitari e sociali. Inoltre, è stato osservato che il contatto, ovvero la possibilità che gli operatori conoscano o frequentino persone omosessuali e che abbiano avuto occasioni formative sul tema dell’omogenitorialità, attenua gli atteggiamenti pregiudizievoli.

Altri lavori di ricerca sono necessari per approfondire il tema. Tuttavia, è possibile sostenere che oggi, in Italia, gli operatori stanno lavorando in un contesto socio-culturale in rapida trasformazione che, come tale, richiede loro la messa in atto di pratiche nuove sostenute da modelli altrettanto innovativi. Ciò comporta pensare ad un adeguato percorso formativo. La formazione, infatti, dovrebbe mettere a disposizione i risultati di ricerche svolte anche in Italia che permettano agli operatori di avere maggiori informazioni sul tema dell’omogenitorialità e di favorire una riflessione sui pregiudizi ancora presenti anche nei contesti professionali ed istituzionali.

(1) L’articolo verrà pubblicato in uno dei prossimi numeri della nostra rivista

* Department of Psychological and Behavioural Science London School of Economics, UK; **Professore Ordinario in Psicologia Sociale e Psicologia delle Relazioni Familiari, Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali Università di Parma;  °Laureata in Psicologia dell’Intervento Clinico e Sociale all’Università di Parma, tirocinante presso l’AUSL di Parma; °°Professore Associato in Psicologia Sociale, Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali Università di Parma

Si segnala che su questi temi, Marina Everri ha curato recentemente la pubblicazione di un volume che raccoglie i contributi di ricercatori, professionisti, rappresentanti delle istituzioni politico/legislative: “Genitori come gli altri e tra gli altri. Essere genitori omosessuali in Italia.” Per contatti e informazioni: marina.everri@unipr.it

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