La forza dell’inclusione

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di Giovanni Merlo*

Dedicato a chi pensa che non ne valga la pena. Dedicato a chi dedica la vita a cercare di risolvere i piccoli e grandi problemi, e corre il rischio di pensare che le cose peggiorino sempre. Dedicato a chi rimpiange le scuole speciali.

Milano. Lunedì, 8.30 di mattina. Una fermata qualunque della metropolitana a Milano. Il pannello annuncia un leggero ritardo. Quanto basta perché la folla in attesa si faccia spessa. Quasi tutte le persone che mi circondano dedicano le loro attenzioni ai loro schermi. Io no. Il mio cellulare è, come di tradizione, spento perché anche ieri sera mi sono dimenticato di metterlo sotto carica.

Il treno arriva. Le porte si aprono e finalmente entriamo. Il livello di densità corporea è elevatissimo: quasi tutti caparbiamente continuano a fissare i telefoni. Poco prima della chiusura delle porte sale in carrozza un giovane che, a voce alta, a nome e per conto di tutti i passeggeri, dice: “Che palle!”.

Quasi nessuno comunque gli da retta. Io non posso fare a meno di guardarlo, anche perché è a poco meno di venti centimetri da me. Il ragazzo ha una disabilità intellettiva. A mio fianco, tra me e lui,  c’è una ragazza, che avrà vent’anni. Lei non guarda il cellulare ma ha le cuffie nelle orecchie. Starà ascoltando della musica. Saranno coetanei, penso. Alza lo sguardo e dice: “Hai ragione.. fa un caldo”. Il ragazzo sorride e la fissa. La distanza del resto è minima, ma lui la fissa. Lei non sembra farci caso.

Anche lui, tira fuori dalla tasca un cellulare e inizia a digitare. Lei sbircia, incuriosita. Del resto la distanza è minima. Poi iniziano a parlare: lei non sa bene quando dovrà scendere perché, essendo senza occhiali, non riesce a leggere sul pannello. Lui gli dice che mancano ancora sei fermate. Romolo, che comunque viene dopo Genova che è quella dove scende lui. Sono d’accordo sul fatto che si sta molto scomodi e che tutti e due sarebbero rimasti molto volentieri a letto a dormire, ancora un po’. Lui la fissa, poi digita. Lei sbircia.

Viene fuori poi che lui sta andando a lavorare mentre lei no, non lavora. Sta cercando e proprio oggi ha un colloquio. In effetti non mi sto facendo i fatti miei ma, scusate, il mio cellulare è scarico e la distanza tra noi è veramente, veramente minima.

Mentre loro un po’ chiacchierano e un po’ si osservano, penso che forse è per questo che molti anni fa tante famiglie hanno rinunciato a mandare i loro figli nelle scuole speciali e a lottare con fatica per “l’integrazione”. Per fare in modo che un giorno, (utopia?) chissà mai, uno dei loro figli o nipoti potesse prendere la metropolitana per andare al lavoro, chiacchierare e fare un po’ il filo ad una ragazza, nell’indifferenza totale di tutti i passeggeri … e anche della ragazza.

Penso che è grazie a loro ed anche all’impegno di tanti insegnanti, operatori, politici (!) che hanno fatto in modo che almeno l’integrazione scolastica diventasse un diritto per tutti, che oggi quella ragazza si trovi assolutamente a suo agio in quella situazione e non la trovi affatto strana. “Cadorna, fermata Cadorna”. Cavolo sono arrivato (ringrazio come spesso mi capita gli amici ciechi che hanno ottenuto i messaggi sonori alle stazioni…). Scendendo non posso fare a meno di salutarli. Mi guardano un po’ di traverso… quello strano sono io.
Grazie ragazzi e scusatemi se parlerò di voi in pubblico … tanto non lo saprete mai. Buona vita a voi e ancora grazie a quelli che prima di noi, si sono impegnati e hanno lottato perché quella che un tempo era una utopia diventasse oggi normalità.

Dedicato a chi pensa che non ne valga la pena. Dedicato ai tanti fra noi che, occupandosi dei piccoli e grandi problemi del mondo, corrono il rischio di pensare che le cose vadano sempre di male in peggio. Dedicato a chi rimpiange le scuole speciali. Dedicati a chi le ha fatte chiudere (quasi) tutte.

L’articolo è apparso sul blog: Persone con disabilità. L’informazione sulla disabilità in Lombardia il 9 maggio 2016.

Un pensiero su “La forza dell’inclusione

  1. Patrizia Taccani

    Un bell’esempio per spiegare la differenza tra “guardare” e “vedere”. Sì, anche la “distanza minima” conta, ma non è detto valga per tutti e in ogni occasione.
    Vedere, pensare, comunicare ad altri. Elogio della vita quotidiana e di chi ha voglia di starci dentro, a cellulare spento.

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