Lavoro di comunità, la paziente fatica di portarsi dietro il peso del vocabolario

waves-circles-285359__180di Andrea Pancaldi*

Oggi si discute molto di “Lavoro di comunità” nei servizi sociali, complice la crisi. Escono libri, partono corsi di formazione, percorsi di consulenza.

E’ chiaro a tutti che i servizi sociali si devono addestrare ad una ottica di comunità, ma spesso, mi pare, si da come per scontato che gli interlocutori delle comunità con cui ci si rapporta, e si dovrà farlo sempre più (a volte sono chiamati associazioni, a volte terzo settore, a volte volontariato, con qualche aggiunta di parrocchie e centri sociali), siano per definizione:

  • in una ottica di comunità
  • una massa sostanzialmente omogenea mentre così non è, e l’abbondantissimo lessico che li ha definiti in questi ultimi venti anni e parimenti ha definito l’oggetto di cui si occupavano, lo sta a testimoniare.

Insomma, parafrasando ed estremizzando il concetto, si corre il rischio (per certi versi) di esserci innamorati di una persona ma avvolgendola in una idealità e quindi, come dice Jung, “Tutte le persone incontrate nella vita che hanno un potere di fascinazione su di noi, sono in realtà parti scisse di noi stessi che abbiamo rimosso e che ci sono riportate indietro…”.

E’ necessario dare un volto, anzi dare volti alla comunità. Dentro il volontariato, l’associazionismo, la cittadinanza attiva, la cura dei beni comuni, le varie forme e attori della social innovation (…dice giustamente Aldo Bonomi che non c’è smart city se non c’è social city) bolle tutto e il contrario di tutto. E’ un bene? un male? è da conoscere meglio e soprattutto comprendere meglio il lessico che da loro identità, sia quello autoprodotto sia quello che fa capolino sui media.

Forse un paio di letture ci aiutano:

Giovanni Moro, La cittadinanza attiva: nascita e sviluppo di un’anomalia, disponibile da pochi giorni nel sito Treccani

Il numero monografico della rivista Politiche sociali de Il Mulino (curata da Espanet) su “Caratteristiche e transizioni del non profit in Italia” (n.1 del 2016), e in particolare il contributo di Sandro Busso e Giovanni Gargiulo “Convergenze parallele: il perimetro (ristretto) del dibattito italiano sul Terzo settore” (a questo link una sintesi del numero della rivista) … oltre ad una occhiata periodica a quanto si scrive nel canale Innovazione sociale del supplemento Nova del Sole 24h.

*Responsabile della redazione sociale del Dipartimento benessere di comunità del Comune di Bologna.

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