Le “barriere architettoniche” dell’affettività. Riflessione sui bisogni affettivi delle persone disabili

di Davide Pizzi *

Nota della redazione: Dopo il recente post di Pierluigi Emesti, dal titolo: “Primavera per tutti!”, proseguono i contributi sul tema dell’affettività delle persone con disabilità con questo nuovo post di Davide Pizzi.

© Copyright 2012 CorbisCorporationUn articolo de La Stampa (1) attira la mia curiosità: la notizia riporta l’intenzione di costruire in Inghilterra una sorta di “casa privata di appuntamenti” per persone con disabilità, con l’intento di “educare i disabili ad una sessualità sana [perché i disabili] hanno esattamente i bisogni di qualunque persona normodotata”. Da professionista mi accorgo che lavorare nel settore della disabilità da qui in futuro comporterà sempre più affrontare le dinamiche sessuali, e perciò servirà discutere su metodi e tecniche, principi epistemologici ed etica professionale, per avviare percorsi costruttivi tra operatori, disabili e familiari, mediante un continuo processo di feedback.

Riconoscere nelle persone con disabilità i nostri stessi bisogni

La percezione dei bisogni delle persone con disabilità da parte della società sta mutando, e in particolare per gli aspetti legati alla sfera affettiva/sessuale. Questo riconoscimento è anche sinonimo concreto di realizzazione di una porzione significativa del percorso di “vita indipendente”. Affinché ciò avvenga occorre che la persona con disabilità riceva un’adeguata informazione. Non solo, ma serve che anche le famiglie siano assistite in questo processo. È importante che tutte le loro domande, le loro perplessità trovino un adeguato spazio che le accolga, come è altresì importante che gli operatori forniscano delle risposte concrete in termini operativi. Infatti la sessualità è spesso esclusa dai progetti educativi individualizzati.

La famiglia della persona con disabilità: “il problema” dell’insorgere della sessualità

La sessualità si presenta spesso inaspettatamente, sorprende, scombina gli interventi già pianificati, e provoca nei familiari (e in noi operatori) un forte senso di disagio, di inadeguatezza e di impotenza. La sessualità è una componente fondamentale di ogni essere umano, ma in molte famiglie, i figli con disabilità vengono considerati “asessuati”. La famiglia con un figlio con disabilità vede che questo bambino sta crescendo, e la disabilità resta,  logico quindi che la comparsa di un corpo da uomo/donna disorienti.

I rimedi “fatti in casa dalle famiglie”

Le famiglie senza una guida si attivano come possono, e decidono strategie diverse per i figli con disabilità. Il senso di protezione verso le figlie è molto più comune che non per i figli maschi. C’è chi ricorre alla prostituzione con tutti gli eventuali risvolti rischiosi. Non stupisce in quest’ottica l’appello di una madre di Treviso disposta a pagare la cifra € 500,00 pur di dare la possibilità al figlio di vivere la sua prima esperienza sessuale. La madre al giornale locale ha lamentato l’assenza in Italia della figura dell’assistente sessuale, presente invece in altri paesi europei.  Per questa ragione ritengo sia importante parlare di affettività, per evitare di incorrere nell’errore di ridurre la questione a ben poca cosa!

La creazione di un Comitato per una proposta di legge

A Bologna è sorto un Comitato il cui scopo è quello di sostenere e realizzare un’iniziativa di legge popolare per sensibilizzare l’opinione pubblica, e raccogliere firme per promuovere anche in Italia il riconoscimento della figura dell’assistente sessuale. Il fine è di consentire alle persone con disabilità e/o con ridotta mobilità e motilità, e in generale a tutte le persone in situazione di emarginazione affettiva e sessuale, il raggiungimento del benessere psicofisico/emotivo, di acquisire fiducia in sé stessi, e vivere un rapporto diverso e positivo con la propria fisicità.

Definizione di assistente sessuale

Non esiste a oggi una definizione chiara dell’assistente sessuale. Cosa fa un’assistente sessuale? In che cosa consiste la sua professione? Quale genere di formazione dovrebbe avere? Quale codice deontologico dovrebbe rispettare? Quali sono i limiti nell’esercizio della professione e in base a cosa devono essere stabiliti? Fino a che punto dovrebbe assecondare le richieste del suo assistito? Finora se ne sente parlare prevalentemente al femminile come figura professionale, come se la sessualità e le sue pulsioni siano più forti, secondo uno stereotipo vecchio e diffuso, tra i maschi. Cosa dovrebbe svolgere l’assistente sessuale non è esplicitato in modo chiaro neanche dai promotori, non esiste quindi un modo specifico di fare l’assistente sessuale: “Spesso tutto dipende dalla definizione psicofisica della disabilità oppure soltanto dalla storia della persona. Ci sono persone con disabilità che hanno storie d’amore e quindi hanno vissuto l’aspetto sessuale della vita. Ci sono persone con disabilità che non hanno mai avuto la possibilità di una vita sessuale. L’assistente sessuale ha la sua funzione specifica per aiutare queste persone a vivere con serenità il rapporto con il proprio corpo”.

La vulnerabilità emotiva della persona con disabilità

Quali ripercussioni potrebbero esserci sull’emotività sovente fragile di una persona affetta da disabilità che riceve “cure” e attenzioni da un’assistente sessuale? Esiste il rischio di un vischioso e morboso innamoramento? È anche questo un aspetto che deve essere considerato, che non può essere tralasciato. La condizione di disabilità in alcuni casi causa vulnerabilità emotiva che potrebbe ingigantirsi nella relazione con un’assistente sessuale.

Ripartire proprio dalle ansie delle famiglie

È imprescindibile perciò compiere un lavoro con le famiglie. La creazione da parte dei servizi di uno spazio comune che accolga i familiari all’interno di un percorso di esperienza di gruppi di auto-muto aiuto potrebbe rivelarsi un’ottima strategia nel contenere le ansie dei genitori, e più in generale dei caregivers, a fianco all’organizzazione di corsi di preparazione all’educazione all’affettività e alla sessualità.

I servizi devono educare alla sessualità

Uomo (Introspezione)

Uomo (Introspezione)

Fare l’amore non significa soltanto avere un rapporto sessuale, significa soprattutto poter condividere con un’altra persona tutte le emozioni, le percezioni, le sensazioni, i significati che siamo capaci di cogliere e di trasmettere nella complicità e nell’abbandono dell’incontro con l’altro. Le persone disabili spesso conoscono e apprezzano proprio questo aspetto della sessualità! I loro gesti e le loro carezze evocano immagini, sensazioni, emozioni colme di significato. Una sessualità quindi non fine a sé stessa. Un’educazione sessuale adeguata è necessaria per far capire al disabile le limitazioni legate alla patologia, e le possibilità compatibili con il grado della sua compromissione. Per sperare in una buona riuscita ogni progetto deve puntare soprattutto sull’espressione dell’affettività e dei sentimenti. Il sentimento è qualcosa di esclusivo che ogni persona può vivere e manifestare nei confronti soltanto di chi viene “eletto” e prediletto al di sopra di ogni altra persona. Come ogni persona con disabilità e non, che ha sviluppato una maturità affettiva e una equilibrata intelligenza emotiva, vivere un sano concetto di affettività e sessualità significa dare importanza assoluta alla relazione che si instaura con la persona amata. Al contrario, desiderare soltanto un’esperienza fisica scollata dalla sfera dei sentimenti passando attraverso la delega a una persona che svolge una professione a pagamento, significa impoverire la propria esperienza umana del senso suo più nobile, privandola dell’aspetto più saliente: la relazione profonda nel donarsi all’altro, lo scambio reciproco, gratuito e sincero dei sentimenti!

* Assistente sociale, Ordine della Regione Puglia

(1) Ulteriori articoli sul tema, sempre de La Stampa si trovano qui,  e anche qui.

10 pensieri su “Le “barriere architettoniche” dell’affettività. Riflessione sui bisogni affettivi delle persone disabili

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